martedì 25 dicembre 2012

Un fenomeno avvilente

Premessa.
Lungi da me pensare che la scienza sia una specie di religione definitiva , inscalfibile e indiscutibile.
Ma questo vale per quanto riguarda la capacità di comprensione delle cose nelle loro ragioni più profonde. Senza andare a toccare argomenti troppo specifici, la scienza è il migliore strumento dell'uomo per spiegare e capire il "come" delle cose, ma non necessariamente il "perché". Anzi...



Ora.
Provate a dire tante volta maya.

Mayamayamayamayamayamayamayamayamaya.
Cosa succede? Ovviamente dopo un po' perde completamente il significato al quale viene associato il suono.
E' esattamente quello che ci è toccato subire fino al Venerdì 21 Dicembre 2012.

Maya era il nome di un popolo nobile che qualcuno ha voluto trasformare in una specie di spauracchio.
Dopo la crisi economica e la tristissima musica Coreana la fine dell'anno che sta per appunto finire ha visto anche vincere la superstizione sul buon senso.
Augurandomi che una volta per tutte l'ignoranza venga asciugata dal sole invincibile del solstizio, provo a fare una riflessione del tutto non richiesta.

Ok è finito il baktun cioè quello che per i Maya era un ciclo di 144.000 giorni. E quindi?.
Secondo una strana interpretazione di questo "evento", dettata dal fatto che la mitologia Maya immagina la creazione come qualcosa di "ricostruito" da zero dopo la fine dei precedenti baktun ( mitologia, è bene ricordarlo) e per il riferimento al dio della creazione nel monumento riguardante questo famoso calendario trovato nel sito archeologico di Tartuguero, la fine di questo baktun è anche la fine del mondo.
Un po' come dire: quando finisce il calendario che hai in cucina, finisce il mondo.
Ma facciamo finta di niente e avanziamo.
Il fatto che qualche personaggio bizzarro , nell'era della new age , abbia fatto arbitrariamente due più due basandosi sulla mitologia dei Maya ha fatto si che si creasse l'idea di una profezia che in realtà  non è mai esistita (sarebbe bastato chiedere a qualsiasi studioso di civiltà precolombiane per farsi ridere dietro) e anche se ci fosse stato scritto a chiare lettere "il mondo finisce il 21 Dicembre 2012" , da quando si prende alla lettera una tradizione mitologica di un popolo antico?
E' un po come credere che da qualche parte esiste un tizio con la testa di sciacallo , che è anche il dio della morte e si chiama Anubi, solo perchè gli antichi Egizi hanno detto cosi.
Come se non bastasse una estrosa signora Americana che sostiene di essere in contatto telepatico con degli alieni viventi nei pressi di zeta reticoli ( altra fonte attendibile quindi) ad un certo punto annuncia la rivelazione:
Un pianeta si scontrerà con la terra esattamente in quella data.
E qui ci si ricollega ad un altro caso di mitologia presa alla lettera. Ovvero al mito di Nibiru.
Un appassionato di archeologia misteriosa e di mitologia sumera, tale Zecharia Sitchin , ad un certo punto degli anni '70 pubblica una strana teoria. Secondo i suoi studi gli antichi sumeri conoscevano l'esistenza di un pianeta con un orbita lunga 3600 anni, che una volta vicino alla terra sarebbe causa di cataclismi spaventosi.
Questo pianeta sarebbe appunto questo fantasmagorico Nibiru, descritto minuziosamente nel clima , nella vegetazione e addirittura nei suoi abitanti .  La faccenda è nostrana alle convinzioni ufologiche , ma il fascino del mistero ha una presa potente nell'immaginario collettivo , e la teoria comincia a circolare.
Inutile stare a a spiegare che tutto ciò è frutto di una interpretazione piuttosto personale della lingua sumera, oltre al fraintendimento di alcune descrizioni cosmiche dove questo Nibiru in realtà corrisponderebbe a Giove o forse della Stella polare dato che siamo in altre epoche e i cieli ovviamente risultavano differenti.
Se andate su youtube trovate una marea di video di chi sostiene di avere le prove dell'esistenza di questo pianeta e addirittura riprese video da webcam fisse o fotografie , come se il resto del mondo fosse cieco. Infatti pensare che un oggetto celeste sia visibile solo da una posizione specifica del mondo è un non sense totale.
Qualcuno se ne esce dicendo di avere le prove che dimostrano come la NASA stia occultando tutto.
Ovviamente tutto queste prove non hanno una minima base razionale o scientifica e spesso sono falsi conclamati.
Nella rete ( e non solo ) viaggiano veloci bislacche teorie su allineamenti cosmici, tipo quello tra il sole, la terra e centro della galassia. Tale evento causerebbe distruzione sulla terra. Purtroppo questo avviene dagli anni '80 e continuerà a succedere per un altra ventina d'anni. Chiaramente senza conseguenze dato che secondo leggi della fisica non c'è motivo di interessarsi a suddetti allineamenti. Il massimo poi si tocca con la storia dei 3 giorni di buio a partire dal 21 Dicembe 2012. Cosa che nemmeno in un film di fantascienza ci si permette di concepire.
Non tutti hanno nozioni di fisica o conoscenze adeguate ma tutti hanno possibilità di informarsi o accertarsi delle fonti. Nessuno lo fa e immediatamente ci si casca.
Il grave è quando si apprende di gente che si interroga sul perché delle potenze scientifiche tipo la NASA  ( abbiamo visto che il cinema ci ha insegnato come solo la NASA può sapere le cose) non si esprime a riguardo delle mille teorie pseudoscientifiche delle quali la rete ha brulicato negli ultimi anni. Ora, pensare che la comunità scientifica possa essere tirata per la giacchetta riguardo tematiche da bimbominchia è abbastanza improbabile. Eppure anche questo è accaduto.
Nel momento in cui il servizio domande e risposte della NASA e le mail dei maggiori studiosi cominciano ad essere sommerse di richieste di chiarimento , si è avvertito come questo fenomeno stesse preoccupando sopratutto una fetta di giovani navigatori della rete, ma anche qualche adulto leggermente sprovveduto.
Ecco quindi nascere una FAQ della NASA riguardante le teorie del doomsday del 2012.
Roba da non credere quando questo viene letto, dagli stessi che si chiedevano maliziosamente perchè la NASA non dicesse la sua, come la conferma di una cospirazione tesa a coprire la verità.




La solida realtà non può nulla contro la penetrante forza della superstizione, che oggi viaggia per linguaggi telematici. La stampa con la moda di cavalcare i fenomeni di costume, ci mette del suo a creare confusione.
Ed ecco fino all'ultimo giorno ( da non credere ma è cosi) gente che aspetta la collisione di un pianeta, con buona pace del fatto che se ci fosse un pianeta in rotta di collisione con la terra, a pochi giorni dall'impatto sarebbe un gigante nel cielo e visibile come corpo celeste almeno da una decina di anni prima.
Eppure il senso logico soccombe alla psicosi.
Magari nessuno ve lo diceva in faccia nei giorni precedenti al 21, ma una strana forma di paura era ben presente in molte persone che quotidianamente incontravate. Anche persone solitamente razionali o comunque normali.
La superstizione ha trionfato. E questo si mi ha spaventato.
Andando alla ricerca nella rete , in blog e forum specializzati o semplicemente nei social , si poteva trovare autentica paura, Gente che non dormiva la notte, gente che piangeva ogni giorno , gente che pensava al suicidio.
Insomma gente davvero terrorizzata, e assieme a loro tantissima gente che qualche dubbio se lo poneva.
Tutto questo basato sul nulla più assoluto. Sarebbe bastato un minimo di raziocinio e volontà di informarsi seriamente . eppure niente.
Questo non solo in Italia ovviamente ma in tutto il mondo "civilizzato".
E forse è proprio questo il punto.
Perchè proprio nell'occidente industrializzato e basato sulla forza della ragione esiste questo bisogno di "oscura minaccia" , di caos e distruzione ? Perchè questa necessità di avere paura ?
L'occidente avverte già da parecchio tempo una gravosa sensazione di impero alla fine ella decadenza. Di crollo imminente e di no future.
La coltre scura che pesa sul futuro del "nostro" mondo , la mancanza di prospettive e la perdita di coordinate e strade sicure da percorrere porta sicuramente a percepire come delicatissimo il filo che tiene assieme la società, Questo di certo aiuta una propensione collettiva alla paura per il futuro , alla sensazione di strada chiusa e al bisogno di una catarsi.
Probabilmente questo particolare momento storico ha creato questo fenomeno dove nessuno si è dimostrato immunizzato. Credo che perfino mia nonna conoscesse la faccenda maya. Una profezia tanto inesistenza quanto nazionalpopolare come potrebbe essere San Remo o un maledetto tormentone estivo.
Questa caduta verso il basso , l'incapacità di slegarsi da convinzioni da film di serie B  e una incapacità generale di costruirsi solide basi che resistano alle paludi delle suggestioni collettive hanno dato vita ad un fenomeno che rimarrà nella storia per la sua idiozia.
Insomma in poche parole, il 2012 ha visto l'ignoranza volontaria o involontaria diventare qualcosa di tangibile. Palpabile.
Una ansia diffusa anche nell'ironia e nella ripetizione mantrica di questa parola che ora è diventata un suono mellifluo e leggermente nauseante.
Mayamayamayamayamayamayamayamaya.
Il fatto che tanta gente nel mondo abbia temuto qualcosa per quella data , a me ha spaventato parecchio.
La facilità con la quale le convinzioni sono state manipolate è stata spaventosa. La totale disinformazione è stata spaventosa. La supponenza verso il mondo scientifico a sostegno di pseudoteorie senza mezza base realistica è più che spaventosa , tantopiù che è alla scienza che vengono chieste prove per confutare la veridicità di teorie che di prove non ne hanno manco mezza che sia sensata ( vedi il falso allunaggio o le scie chimiche) .
Quindi a questo siamo arrivati. .
Ad un inquietante sonno della ragione.
Ma forse è' una cifra distintiva della nostra civiltà, quindi sarà il caso di farci l'abitudine 

sabato 22 dicembre 2012

Non vi preoccupate

Non vi preoccupate. Non è cosi che va a finire.
Non si aprirà l'atmosfera sopra la vostra testa in una bolla rosso fuoco, di notte fonda o magari appena dopo l'alba.
Muri di terra incandescente non ti sommergeranno alla velocità del suono.
Non vedrai con tanta facilità movimenti oceanici sommergere le montagne che vedi all'orizzonte, e non sarai costretto a scappare sentendo la terra vibrare sotto di te.
Non sarai nemmeno costretto a vedere il sole spegnersi all'improvviso. Ne sentire con vertigine la terra capovolgersi sotto i tuoi piedi, e vederti piovere addosso stormi di uccelli disorientati.
Non ti ritroverai assieme a mille persone , sulla spiaggia in attesa di una luce all'orizzonte.
Ne sentirai ruggiti arrivare dal profondo della terra.
E infatti è cosi che finirà il tuo mondo. Ruotando costantemente uguale a prima.
Senza vento. Con il caldo estivo. Con un clacson solitario.
Con un cane che abbaia.
Al massimo ascoltando i grilli.
Il tuo mondo finisce cosi, di noia.

Per gli utenti di Facebook


venerdì 21 dicembre 2012

Gyula Noesy


Qualche anno fa mi sono interessato ad osservare personaggi e figure affascinanti.
Basandomi interamente sul mio personale gusto e su ciò che mi stimolava mentalmente, iniziavo una serie di interviste per un blog che ora è giace morto nell'enorme fossa comune del web e che presto sarà polvere digitale.
Evocando fantasmi ho deciso di riproporre alcune vecchie interviste. 

Questa in particolare riguarda uno dei personaggi più interessanti che abbia avuto modo di incrociare negli ultimi anni. Questa vecchia intervista serve a rinfrescare la memoria in attesa di una nuova intervista che presto verrà postata in questo blog.



Gyula Noesy





Quando si parla di body art si pensa di avere gia in mente un pugno di concetti e di immagini che racchiudono in pochi flash tutta la storia di questo tipo di comunicazione visiva e concettuale.Si è quasi abituati al sangue e al martirio degli azionisti viennesi, all'espressivita di Vito Acconci o alle manipolazioni di Orlan.
Però vi assicuro che,nonostante questa dose di immunità e disincanto imbattersi in Gyula Noesy è una esperienza forte e in qualche modo nuova.
Per la prima volta l'espressione e l'uso del corpo viene calata nel mondo e nella vita senza tentativi di sacralizzazione forzata o di ricerca celebrale ma semplicemente con puro scopo carnale.Un corpo che gioca, che si scontra che viaggia nel mondo e che ne subisce le forze.Per la prima volta il corpo ritrova la sua vera motivazione dell'esserci nel suo sfruttarsi e nel suo sentirsi.
Qui di seguito alcune immagini e una intervista.
Questo il sito internet ufficiale
 WWW.NATATOR.ORG




1. Cominciamo parlando un po di te. Chi sei, da dove vieni, la tua formazione...

Sono un turista. Sono quel che faccio. Faccio un giro ("tour") del mondo nel quale sono nato, prima di dissolvermi trasformato in nuove strutture che non saranno me. Un giro rapido... accontentandomi, pur essendone frustrato, dei luoghi/delle esperienze che mi appaiono come essenziali, cosciente della finitudine del mio tempo (vivo assieme alla prospettiva della mia morte sin da l'età di undici anni).

Vengo dai Testimoni di Geova. Battezzato di mia volontà. Per via del grande disprezzo provato nei confronti dei miei simili, per via delle illustrazioni delle riviste "Torre di Guardia" e "Svegliatevi" nelle quali vedevo campanili cascare addosso a donne e bambini, vecchietti sprofondare in precipizi improvvisamente aperti da Geova ad Armaghedon. E per — io — gioire della vita eterna.

La mia formazione è in corso. La mia forma evolve di continuo. Ma considerando la domanda da un punto di vista triviale, la risposta è graphic designer.


2. La tua produzione artistica comprende anche opere pittoriche. Ne vuoi parlare?

Questo mese di maggio 2010 dipingo tutto ciò che ho da dipingere e poi, a parte se una delle gallerie che contatterò questo fine estate mi proporrà di esporre, riprenderò il discorso solo tra una ventina di anni, quando il mio corpo non mi potrà più portare come mi porta ora. Poiché questo non è il momento per dipingere: ci sono attività che posso avere soltanto ora. A ottant'anni potrò ancora imbrattare, adesso devo sfruttare il mio corpo possente. In quanto ai dipinti stessi, m'importa tracciare senza il minimo rispetto. Non si può arrivare a nulla stimando chi ci ha preceduti e gli utensili che abbiamo in mano. Ogni cosa deve essere aggredita. Non dipingo per rappresentare ma per presentare un'attitudine.

3. Da dove nasce la tua ossessione per il corpo? E cos'è il corpo per te?

Nasce quando a vent'anni, dando le mie dimissioni ai Testimoni di Geova, mi impossessai finalmente del mio culo. Durante tutta la mia infanzia poi la mia adolescenza, vissi considerando il corpo un imbarazzante coinquilino da ignorare. Così, quando divenni mio, già dopo un mese ero cantante per una band di punk hardcore e subito al primo concerto, feci uscire sangue ad un tizio nel pubblico. Non ero affatto cambiato, solo che avevo detto "sì" a me stesso. E il corpo mi rimanne — e mi rimane — primordiale perché chi cerca la radicalità non se ne può allontanare. Per andare verso cosa? Sono sì ossessionato dal corpo per esserne stato cosi a lungo privato (dal mio, dai vostri), ma anche perché è la radice. Chi si occupa di altro si disperde.

Non abbiamo un corpo, ma siamo corpi. Non siamo anime contenute, i nostri corpi non sono ne appartamenti ne coinquilini. E i pensieri sono secrezioni dei nostri viscidi cervelli come la bile è secreta dal nostro fegato.


4. Personalmente ho trovato le tue performance pubbliche decisamente forti e aggressive. Un mood particolarmente punk se vogliamo. Vuoi parlare un pò di questa ricerca di confronto?

Andando al sodo, confrontarsi con un corpo significa o lottarci, o scoparci. Quando mi vedo gente intorno, immobile, come nel metrò, per l'opening di una mostra, facendo la fila alla cassa di un supermercato o in una sala concerto, mi sento accendere da una folle eccitazione che mi elettrizza le membra facendomi a volte sudare dal dolor di dover contenermi. È soltanto scendendo da un palco che mi autorizzo a dare un mezzo sfogo alle mie voglie; e se questo pubblico che ho di fronte reagisce con altrettanta violenza, per me va bene, non me ne scandalizzo. Durante la tournée con Jean-Louis Costes ("The Holy Virgin Cult Tour") che nel 2003 mi portò a dar fuoco ai miei peli pubici su circa settanta scene, mi capitò per esempio a Los Angeles di ritrovarmi a leccare la fica di una ragazza del pubblico senza nemmeno averla prima guardata in faccia; o, a Parigi, di baciare uno spettatore a caso, spingendo con la lingua nella sua bocca i vomiti dei miei due compagni, precedentemente recepiti da me in bocca, ma anche nel naso e negli occhi — non è tanto facile far prova di precisione travasando a cascata. E quando la gente disgustata scaglia contro di me sedie e bottiglie, io l'accetto. Quando tale ragazza di Chicago si strofinò la vulva contro la mia coscia, mi andò altrettanto bene. Ma c'è un limite: farmi spaccare il naso è divertente (perché fà sangue ma non diminuisce le capacità del mio corpo), perdere un occhio non mi và (se mi facessero — o tentassero — qualcosa che potesse mettere in pericolo la mia salute, allora picchierei, ma non è affatto mia intenzione fare a botte). Io stesso mi controllo: non mi permetto ciò che vorrei davvero fare. Mi limito a maneggiare corpi. Senza prima passare da tutto un protocollo. Cioè desacralizzando. Vorrei fosse tanto più semplice toccarci.

5. Il viaggio sembra essere una parte fondamentale della tua ricerca umano-artistica. Fin dove ti sei spinto?

Fino ad intrapprendere un'escursione che pensavo mi sarebbe stata mortale. Non portai con me mezzi di telecommunicazione apposta per non poter in nessun caso chiamare soccorsi. Nel treno che mi portava a Mosca, mi sentii cosi terrorizzato e convinto di dover morire in questa avventura, che piansi nelle braccia di una sedicienne. Partii da Petropavlovsk sulla penisola della Kamchatka (Siberia estrem'orientale), persi 21 chili in 27 giorni. Dovetti mangiare erbe amare, formiche e vermi per far funzionare il mio stomaco un minimo. Appena tornato in città, mangai cosi tanto e soprattutto cosi bruscamente che quasi mi uccisi (presi 10 chili in 5 giorni) come successe a tanta gente appena scarcerata dai campi di concentramento. Ma l'apice di questo viaggio fù quando bloccato dalla congiunzione di due larghi torrenti, dovetti scegliere tra rimanere lì morendo di sicuro entro un mese, o provare ad attraversare nuotando con un braccio nella corrente gelida e irrequieta morendo probabilmente nei prossimi minuti.



6. Che importanza ha la lotta e la violenza nella tua ricerca?

Questa importanza è alta.

La violenza è amore (solo chi ama può fare la guerra). La mia tanta violenza è dovuta al mio tanto amore della vita. Per raffreddarmi, vado in un club di Berlino dove insegnano mixed martial arts e mi confronto con gente più forte di me. Sono apprezzato per la mia combattività. Un anno fà ho perso la capacità di cantare negli acuti per via di uno strangolamento prolongato subito per non aver voluto darla vinta tanto facilmente al maciste dietro di me. Con il sesso, la lotta è a l'origine di ogni iniziativa umana. Vivere significa fare (e farsi) violenza. Chi non lo accetta scompare.

7. Fino a dove ti vuoi spingere?

Ci sono cose che non si possono fare se prima se ne parla.

8. Cosa stai preparando ora?

A giugno 2011 torno in Amazzonia con — questa volta — un biglietto di semplice andata. Là mi comprerò una piroga, un fucile ed una pistola, e partendo da Rurrenabaque (Bolivia) o Iquitos (Perù), mi inoltrerò nel bacino senza obbiettivo altro che quello di fare pienamente l'esperienza della giungla. E visto che forse laggiù morirò, prima di partire mi tiene a cuore di finir di correggere le 2000 pagine del mio libro, visto che è la migliore cosa che abbia mai fatto e che mai farò. Vorrei che questo testo mi sopravvivesse.

9. Concludi come vuoi tu.

Cerco corpi moralmente decadenti per foto e video nel mio atelier di Berlino a partire dal prossimo mese di luglio. ( 2010) Proponetevi a me scrivendo qui: gn@natator.org


Essendo passati un paio di anni risentirò Gyula per farmi raccontare le nuove esperienze di vita...

domenica 3 giugno 2012

Senza sonno


Io non dormo mai.
Non dormo e basta.
Il cervello in controfase vive sereno come a 5 gradi sotto zero. La pelle percorsa da una pellicola di costante Febbraio.
I pensieri lucidi come un tavolo operatorio lavorano in cerchi concentrici. Portano strutture iperboliche e disegnano Nautilus fossili perfetti, trasparenti e luminosi sul muri grigio della cucina.
Nello stesso tempo in piccoli frammenti di tempo emergono scheletri appena risorti ad appoggiarmi le loro mani ossute sulla spalla.
Voci profondissime in fondo al corridoio provano a dire il mio nome riuscendoci a metà.
In quei momenti pulsanti forme neon si materializzano appena dietro il lato del mio sguardo ma ritorno presto alla realtà.
Il sole a pochi watt illumina appena le mie giornate sottovuoto pneumatico.
Mi trascino per le strade calde come un manichino.
Gli occhiali scuri mi rendono più pallido.
Ma tutto nella testa funziona come un orologio. E proprio come un orologio non si spegne mai.
Al massimo rallenta di qualche secondo.
Mi striscia addosso tutto come se fossi un sacchetto di plastica unto.
Gli sguardi di una vita normale mi appaiono lontani anni luce. Come una vita venuta da una luna di Giove.
Tutto acquista una perfezione purissima.
Il disegno è chiaro.
Un cerchio compiuto che si salda in una piccola luminescenza atomica dentro la ghiandola pineale.
Nella luce bluastra che per tutti è una giornata di sole, mi muovo verso una giornata qualsiasi nell'attesa che un giorno un ombra oscura fatta di sonno profondo mi trascini con se in un nascondiglio senza luce ne pensieri.
Il sonno.
Quello che rende meno lucidi , che ti fa vedere le cose come tutti le vedono.
Materiche, inutili e mutevoli.
Belle come il sole, senza venti siderali.
Senza fantasmi ne voci nere, ne intrusi.
Una vita normale.
Cosi banale.

mercoledì 25 aprile 2012

Toilet chant


Uno dei momenti più gloriosamente blasfemi della sacralizzazione delle proprie giornate è il momento in cui ci si siede sul cesso.
Il corpo si sa, ha bisogno della propria messa gnostica quotidiana.
Quale rituale migliore delle contorsioni calde delle proprie viscere. Del piacere amniotico dello svuotamento delle sacche intestinali.
Il rituale prevede sacrificio.
La croce di trattenerla il più possibile.
Dare modo al proprio corpo di assaporare il momento in cui si libera di quel peso che comprime i propri nervi addominali.
Il sorriso che ti si stampa in faccia è una icona di innocenza e di umanità .
Ci dovrebbe essere un museo di visi e sguardi nell'estasi della defecazione.
Esistono raccolte fotografiche, siti internet , libri che raccolgono visi di orgasmi, visi del momento della morte, ma visi del momento in cui ci si svuota non risulta.
Un momento di puro piacere, quando ci si rende conto di essere soli nell'arco di una decina di metri almeno, e liberamente emettere una parte di noi a cadere in un buco di acqua sporca.
Ci sono gli sfortunati che non riescono mai a farlo e quando ce la fanno non è abbastanza.
Un conto poi è praticare questi pochi santi minuti nel proprio luminoso e sanificato cesso di casa.
Ma il vero atto d'amore è quando ti arrampichi in una fetida latrina pubblica, vagamente puzzolente di piscio caldo, dove riesco a piazzarti sopra una turca perennemente bagnata e pronta a raccogliere le spruzzi di vita bollenti di qualsiasi essere umano che gli si presenti sopra.
Immaginatevi la storia di un cesso pubblico.
Un tempietto di piastrelle blu scuro lucide, finti marmi appena posati e una porta bianca con chiavistello.
Dalla prima pisciata della sua storia quel cesso diventerà un solitario girone dell'inferno Dantesco.
Non ci vorrà poi molto che le pareti si impregnino indelebilmente di una presenza umida e strisciante che negli anni ribolle sul pareti del gres porcellanato della turca.
La porta diventa un muro di Berlino scrostato e raffigurante cazzi ,numeri di telefono, buchi di culo aperti in cerca d'amore e svastiche rosse.
Una scatola di plastica vuota appesa al muro in ricordo della carta lavamani.
Un cesso pubblico come quello, prima di crollare definitivamente ospita ogni manifestazione di deiezione umana, di scopate feroci addosso alle pareti, di pere e schizzetti di sangue , di mestruazioni, di fazzoletti usati di vomito, di telefonate, di presenze umane lasciate a se stesse.
L'equivalente di una chiesetta abbandonata in mezzo ad un campo, il cesso pubblico ospita le crude messe del corpo umano, cosi intimamente amato e coccolato nelle sue manifestazioni umide.
Con vetro della finestrella incrostato di una patina marroncina e ragnatele condensate.
Il termosifone scrostato ad avvolgere il fuggiasco dal freddo invernale che ha bussato alla porta.
Il naufrago solitario della strada che si ritrova seduto a contemplare il piacere che dal proprio ano dilatato vibra lungo la schiena raggiungendo i caldi prati della sua mente.
Il cesso, metro di misura di una civiltà, cappella privata di ogni casa e pubblica abbazia dell'uomo moderno, immagine della vergogna di noi stessi ma oracolo d'amore per i consapevoli della gloria del proprio corpo, trasfigurato in uno spazio ipercubico nella atto di riciclare materia fisica che permetta il perenne avviluppamento delle carni attorno ad un lungo tubo vuoto che parte dalla bocca per finire in un orifizio magico che l'uomo comune chiama culo.




domenica 5 febbraio 2012

Quit

Eretto e fermo sul ponte più alto che potevi trovare.
L'autostrada incredibilmente deserta. Allora è davvero questo che deve succedere,pensi.
Ed è difficile cercare di immaginare a cos'altro puoi pensare in questo momento. Eppure ne avresti.
Almeno una vita e mezza.
Il telefono è già in volo lento verso il fondo. Orbite circolari se lo trascinano giù in slow-motion.
Forse non è vero che la vita ti passa davanti in questi momenti. Lo sai tu.
Ma lascia che la faccia passare io al posto tuo.

Ti conoscono tutti in paese. O almeno a tutti il suo nome è noto. Il tuo è uno di quei nomi che in paese si sente spesso. Da quando eravamo ragazzini.
Essere una delle figure di spicco di un paesino di merda come questo è un onore di cui saprei fare a meno. Ma ti dico, ora che non mi stai sentendo, non sono mai stato insensibile alla tua figura.
Ti ricordo alle elementari.
Ti vedo qui davanti , seduto a bere il tuo suo succo di frutta alla pesca mentre gli altri si rincorrono nel giardino della scuola. Sorridente in piedi appoggiato al muro. Con il grembiule bianco, mentre aspetti che arrivi mamma.
Ti rivedo alle medie. Uno di quei ragazzini meno popolari di altri. Silenzioso e malvestito. Non un grande sportivo. Lo saresti diventato poi.
Gli occhiali marroni ti categorizzano immediatamente.
Le scuole medie, si sa, sono il periodo più crudele della vita.
Sei obbligato ad iniziare a crescere. A smettere di essere un bambino anche se lo sei ancora. Devi dimostrare di essere qualcosa che assomiglia ad un adulto,la versione puzzolente e acerba di un adulto.
Se non ti fai questa violenza adesso da qui non ne uscirai più. E' cosi per tutti.
 A quell’età la pietà umana e il rispetto non sono ancora facoltà sviluppate appieno. Sono presenti in potenza, come un senso difficile da imparare ad usare. Un cuore funzionante c'è già . E questo non ti aiuta. Sei uno qualunque ma solo agli occhi degli altri. Non entri mai nelle mire degli stronzi. Distaccato si, ma riesci a partecipare silenziosamente ad ogni cosa.
Ridi alle battute e alle bravate. Addirittura sorridi ai soprusi dei compagni di classe verso le vittime del momento.
Quello che veste sempre uguale. Quello che puzza. Quello con il padre in galera.
Tu sorridi lo stesso. Non ridi ma sorridi. Un modo di partecipare senza essere eccessivamente stronzi. Tanto basta per considerarti una entità innocua. Uno spettatore come altri.
Le povere vittime delle crudeli prese in giro invece di tutto questo non se ne accorgono. Sei solo quel ragazzo tranquillo che li tratta come persone. Un potenziale amico.
Ti conosco realmente solo oggi, costretti ad allenarci assieme per le gare di atletica. La t-shirt più grande di almeno una taglia nasconde tutta l’agilità.
Brillante. Sveglio. Acuto. La tua simpatia silenziosa e discreta è una sorpresa per tutti. Soprattutto per me. Una grande curiosità per ogni cosa. Salta fuori presto la sua preparazione riguardo capitali mondiali, montagne e mari del mondo.
Leggi un sacco di fumetti. Ascolti i dischi di suo padre.
Frequenti tantissimo l’oratorio. Un postaccio che presto cominceremo a frequentare tutti. Evidentemente uno di quelli che vengono considerati bravi ragazzi.
Le estati si susseguono ma le cose cambiano di poco.
Arrivi tardi,quando il sole si è già ammorbidito. Arrivi con una allegria fastidiosa. Passi gran parte del pomeriggio a casa. Uscire troppo non sta bene per la tua famiglia.
La tua semplicità si è trasformata. E' diventata odiosa. Ridicola. Irritante.
Nauseante nella tua bontà, nel tuo altruismo.
Sei un pratico. Hai scelto una scuola professionale a qualche decina di metri da casa.
Ti interessa imparare un mestiere, non importa quale. Ti chiedi a che cazzo serva conoscere il latino o le bizzarrie di qualche filosofo Tedesco, o tutte le altre perdite di tempo di cui magari mi riempio la bocca io. Vuoi solo vivere serenamente la tua vita. Il resto non sembra appartenerti.

Nonostante le patenti prese ce ne stimo ancora seduti sul muretto nel retro dell’oratorio.
Parliamo di guerre lontane, di capitalismo, di anarchia e tu ti fermi li dopo un pomeriggio di lavoro nei campi di tuo padre. Ti siedi sulla scalinata e ci ascolti sorridendo. Sempre sorridendo.
Quando qualcuno di noi si fomenta tu ridi. Non ridi di noi o delle nostre idee, ma del nostro entusiasmo di ragazzi.
Nella tua semplicità sei già adulto. Non hai sogni impossibili ma hai i più bei sogni realizzabili.
Dentro di me c'è già una punta di invidia. La verità è che nella tua semplicità estrema c’è qualcosa di più. Nonostante la noia delle tue parole. La banalità del tuo vestire. Il tuo andare a messa tutte le Domeniche senza domandarti cosa significhi. Il tuo giocare a calcio come un ragazzino di sei anni. Nonostante l'azione Cattolica. Lo stucchevole entusiasmo. Le canzoni simpatiche e i campi estivi in montagna.
L'università l’hai mollata presto. Nessun fallimento, solo una scelta. Il tuo vero interesse è il lavoro.
Te ne stai piegato a tirare cavi, e quando non sei a lavoro sei nei campi.
Reagisci con sorrisi pieni di pietà e sopportazione di fronte alla volgarità. Mantieni la calma sempre.
Sai fare delle scelte e a quanto pare ti costruisci un futuro. Anche per questo ti guardo con invidia.
Scegli lei.
Quella che per anni hai visto giocare a pallavolo nel campo dell'oratorio. Quella che hai visto sparire e ricomparire diplomata ed impegnata nel sociale.
Hai deciso in poco tempo che è la donna per te.
E' un Settembre caldo e c'è il tuo matrimonio. Una cerimonia semplice e veloce. Niente sfarzo. Una casa con giardino, una donna con un pancione pronto a dare al mondo una bambina. Stop. Il lavoro sempre meglio e velocemente  fai nascere la tua impresa .
 La bambina cresce e arriva anche la sorellina.
Partecipi ancora alle raccolte di beneficenza dell’oratorio. Quando puoi almeno. La raccolta del ferro è un appuntamento fisso.
Non vai più a messa, ma spesso senti il bisogno di una confessione.
Non hai nemici. Hai solo amici.
Non c'è un ombra nella tua vita. Nessuna smagliatura. Sembri uscito da un film.
Ti sei portato dove volevi. Quanti ne sono capaci?
Tutto questo sei tu fino ad oggi.
Fino al giorno in cui ti stai lanciando giù da un ponte verso litri e litri di acqua fredda.
Nemmeno un messaggio alla tua famiglia. Nessuno capirà mai il perchè.
Ti vedo dimenare nell'aria con un viso immobile. Non c'e un indizio. Non c'è niente.
Lo stai facendo e basta. Affondi verso il letto e non hai un pensiero che ti lasci aggrappato alla vita.
Lascerai tutti nel dubbio, nell'angoscia di non sapere un cazzo.
Un mistero che con il tempo la gente dimenticherà. Smetteranno di voler capire. Io non lo so se ne sarò capace.
Perciò ti saluto.
 E salutami il fondo del fiume, che ai tuoi occhi spenti è un giardino battuto dal vento.