venerdì 5 aprile 2013

Una parolina su Kurt Cobain



Diciannove anni fa moriva Kurt Cobain, e moriva male.
Per me che lo ascoltavo in vita rendersi conto che ormai sono passati praticamente vent’anni fa abbastanza paura. Il fatto è che questi anni si sentono eccome. L’eredità di quel periodo e soprattutto di quel personaggio è pressochè invisibile e questo per più di un motivo. Le nuove generazioni ( lo so parlo come un vecchio ) si dimostrano prive di spinta critica e si dimostrano completamente ammorbidite a logiche tutto sommato protoborghesi ( anche nelle apparenze più rivoluzionarie) dove è già incluso nel “teen spirit” la soppressione di sentimenti forti, di spinte morali superiori e di disagio fisico verso una società sempre più distopica e uniformante.
E infatti nell’ambito estetico il mondo musicale non produce praticamente più nulla di rilevante che non sia una specie di noioso lamento o motivetti da giovani innamorate.
Nei primi anni novanta era ben diverso.
Erano anni ribollenti di una inquietudine molto differente da quella che si vive oggi, ma era una inquietudine che sembrava prevedere e comprendere in sé l’attuale crisi . Una band come i Nirvana nasceva dall’orizzonte sconosciuto di un mondo definitivamente svuotato di valori dove non solo erano definitivamente  scomparsi gli eroi ma dove nemmeno esistevano più reali mostri con cui fare in conti se non il vuoto totale di vite uguali a se stesse giorno dopo giorno.  Il famoso produci-consuma-crepa espanso in varie forme, tutte piuttosto devastanti.
La distruzione è infatti la manifestazione principale della poetica di Cobain. E qui c’è il primo fraintendimento: leggendo la  furia nichilista dei Nirvana nei riff e sul palco come una sorta di disperazione dal sapore “emo” è praticamente un crimine . La violenza dei Nirvana era violenza . Punto.
Violenza musicale, violenza estetica , violenza visiva e autolesiva. Una forma di aggressione estetica ad una società incapace di offrire risposte, e anche questo è un passaggio importante.
Già perché il nichilismo estremo (troppo estremo per essere raccolto dalle nuove generazioni  e le furbe case discografiche lo sanno) inteso come una specie di provocazione e in alcuni casi come la manifestazione di qualche valore corrispondente alla libertà era in realtà una richiesta specifica.
La domanda di nuovi ideali, di valori reali che sostituissero quelli vuoti della società occidentale modernamente intesa. Una società che in quel tempo aveva perso i suoi “nemici” e che aveva da vanti a se solo lo spleen dei parcheggi vuoti dei supermercati.
Oggi che ad essere vuoti sono anche i supermercati e non solo i parcheggi  , e dove la mente libera per definizione della gioventù è socialmente più triste e grigia di quella dei loro genitori, non ci sarebbe più spazio per un Kurt Cobain e questo è evidente.
Forse sono vecchio io che sono cresciuto con una MTV dove c’era musica vera e non ballerine, ginnaste, e ogni tanto qualche canzoncina di alta produzione radiofonica che domani non significherà più nulla, ma l’interpretazione di un Kurt Cobain come una specie di fragilissimo “angelo bruciato” ( immagine che viene creata esattamente all’indomani della morte) è la manifestazione di una mentalità incapace di includere in sé la furia cieca di un Kurt Cobain se non nel tentativo di dargli una sorta di forma “politica” e in ogni caso corretta.
Diceva bene il suo amico Buzz dei Melvins che alla domanda emotivamente compressa di dare un ricordo del suo amico morto Cobain rispose ai microfoni di un noto programma musicale di allora : “ un fottuto drogato che si è sparato in testa” .
Che piaccia o no quella era la grandezza del personaggio. La pretesa urlata , e forse inconsapevole ,di valori reali che salvassero non solo la generazione di allora, ma anche le successive.
Richiesta raccolta? Beh guardatevi attorno, oppure accendete MTV…..

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